20 de noviembre de 2014

"Os aseguro que cada vez que lo hicísteis con uno de estos mis humildes hermanos..."

2014 - CRISTO RE  -A-   Ez 34,11-12.15-17 - 1 Cor 15, 20-26a.28- Mt 25, 31-46

La Parola di Dio in questa domenica, festa di Cristo Re e ultima dell'anno liturgico, ha un evidente messaggio di ricapitolazione: sul passato, presente e futuro delle persone e della storia umana. Sono i tempi della presenza salvatrice di Cristo, che è sempre 'Emmanuele' (Dio con noi): Egli è venuto a Betlemme in carne umana, viene e cammina con noi nella vita quotidiana, verrà nella tappa finale come giudice. La sua presenza  è portatrice di conforto nella sofferenza ed è motivo di speranza anche nell'attesa del giudizio finale. Quell'ultimo momento è descritto nel Vangelo odierno con parole di estrema severità (v. 41-46), che sembrano in contraddizione con il resto del Vangelo, che presenta un Gesù buono, "amico dei pubblicani e dei peccatori" (Lc 7,34), fattosi uomo per "cercare ciò che era perduto" (Lc 19,10).

Gesù, il Pastore buono che dà la vita per le pecore (Gv 10), incarna il progetto di Dio, re-pastore, che Ezechiele (I lettura) descrive con abbondanza di verbi che indicano amore premuroso per le pecore: le cerca, ne ha cura, le passa in rassegna, raduna, conduce, cura, pasce...  Alla luce del giudizio finale, Gesù svela la qualità che devono avere le nostre azioni; insegna come impostare la vita in modo da non sbagliare tutto, ma indovinare la strada. L'unica strada è la Sua: l'amore e il servizio ai bisognosi. "Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore", affermava giustamente S. Giovanni della Croce. L'amore per gli ultimi apre le porte del Regno di Dio: "Venite, benedetti del Padre mio..." (v. 34).

Gesù indica la strada per arrivarci: per ben quattro volte enumera sei opere d'amore verso persone bisognose: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. Aiutare tali persone è parte del lavoro quotidiano dei missionari; ed è compito di ogni cristiano e dei seguaci di tutte le religioni. Queste opere d'amore costituiscono un terreno d'incontro con tutte le persone di buona volontà. Una lista di tali opere è presente in Is 58,6-7, ma già nel II millennio a.C., il Libro dei morti (cap. 125) dell'antico Egitto metteva in bocca al defunto queste parole: "Io ho fatto ciò che fa gioire gli dèi. Ho dato pane all'affamato, ho dato acqua all'assetato, ho vestito chi era nudo, ho offerto un passaggio a chi non aveva una barca".

A queste opere, Gesù apporta una novità decisiva: Egli si identifica con i più deboli e piccoli, fino a dire "l'avete fatto a me" (v. 40).  Gli ultimi sono davvero i destinatari privilegiati delle scelte del Signore.  Pertanto, l'opzione preferenziale per i poveri non è un'alternativa di libera scelta, ma un obbligo per la Chiesa,  in essa è in gioco la fedeltà stessa della Chiesa al suo Signore. Non tanto, anche se sono importanti,  si tratta da questioni morali o teologiche: no, la salvezza dipende semplicemente dall’aver o meno servito i fratelli e le sorelle, dalle relazioni di comunione con quanti siamo stati disposti a incontrare sul nostro cammino. “Amen, io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Sì, il povero che manca del necessario per vivere con dignità è “sacramento” di Gesù Cristo, perché con lui Cristo stesso ha voluto identificarsi (cf. 2Cor 8,9): chi serve il bisognoso serve Cristo, lo sappia o meno.

Nell’ultimo giorno tutti, cristiani e non cristiani, saremo giudicati sull’amore, e non ci sarà chiesto se non di rendere conto del servizio amoroso che avremo praticato quotidianamente verso i fratelli e le sorelle, soprattutto verso i più bisognosi. E così il giudizio svelerà la verità profonda della nostra vita quotidiana, il nostro vivere o meno l’amore qui e ora: “impariamo dunque a meditare su un mistero tanto grande e a servire Cristo come egli vuole essere servito” (Giovanni Crisostomo). Lodato sia Gesu Cristo.

 

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